MASCHERINA E TAMPONE LAVORATORI
Cita da Alessandra Ghisla su 6 Novembre 2024, 2:30DIPENDENTI PUBBLICI
Alla CA Ministero della Salute
Ministro Orazio Schillaci
Email/PEC: seggen@postacert.sanita.it
Ufficio Legislativo Ministero della Salute
Capo e Vice Capo Dott. Vampa Rocco
Email: segr.legislativo@sanita.it
Direzione sanitaria
Direttore xx
PEC: xxxxxxx
DIPENDENTI PRIVATI
Azienda xxxxx
Dott. Xxxx
PEC: xxxx
OGGETTO: RICHIESTA DI VISIONARE IL DVR (Documento Valutazione Rischi)
Il/La sottoscritt xxxx xxxx, nat il 29/01/1900 a xxx (xx), residente a xxxxxxx (xx), in via xxxxx nr.00, CF. xxxxxxxxxx intende esercitare il proprio diritto e formula il presente atto d’invito per significare quanto segue:
In data xx l’azienda ha comunicato l’aggiornamento del DVR, imponendo ai dipendenti l’obbligo di mascherina Ffp2 sul luogo di lavoro (personalizzate il vostro racconto)
PREMESSO CHE
In data 27 dicembre 2023 è stata emessa un’ordinanza del Ministero della Salute (GU n. 302 del 29-12-2023) con titolo: “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’epidemia da COVID-19 concernenti l’utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie” dove vengono prorogate fino al 30 giugno 2024 le disposizioni della precedente ordinanza del ministero della Salute del 28 aprile 2023 (GU n. 100 del 29-04-2023) con titolo: “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'epidemia da COVID-19 concernenti l'utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie” dove, all’art. 1 possiamo leggere: “Art. 1 comma 1. Per le motivazioni in premessa, E’ FATTO OBBLIGO di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie ai lavoratori, agli utenti e ai visitatori delle strutture sanitarie all'interno dei reparti che ospitano pazienti fragili, anziani o immunodepressi, specialmente se ad alta intensità di cura, identificati dalle direzioni sanitarie delle strutture sanitarie stesse. L'obbligo è esteso ai lavoratori, agli utenti e ai visitatori delle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali, comprese le strutture di ospitalità e lungodegenza, le residenze sanitarie assistenziali, gli hospice, le strutture riabilitative, le strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti, e comunque le strutture residenziali di cui all'art. 44 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017[…]Comma 2. Nei reparti delle strutture sanitarie diversi da quelli indicati al comma 1 e nelle sale di attesa, la decisione sull'utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie da parte di operatori sanitari e visitatori resta alla discrezione delle direzioni sanitarie, che possono disporne l'uso anche per tutti coloro che presentino sintomatologia respiratoria.” Mentre sempre all’art. 1 dell’ordinanza ministeriale del 28 aprile 2023 troviamo: “5. La decisione sull'esecuzione di tampone diagnostico per infezione da SARS-CoV-2 per l'accesso ai Pronto soccorso e' rimessa alla discrezione delle direzioni sanitarie e delle autorita' regionali. Si rammenta infatti che non sussiste obbligo a livello normativo dal 31 ottobre 2022, in quanto l'art. 2-bis «Misure concernenti gli accessi nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie» del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, come modificato dall'art. 4, comma 1 lettera b) del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, e' stato abrogato dall'art. 7-ter, comma 2, decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199”.
In data 01 luglio 2024 l’ordinanza in questione ha cessato i suoi effetti ed il Ministero della Salute ha comunicato a tutte le direzioni sanitarie territoriali una circolare ministeriale 0019544-01/07/2024 con OGGETTO: "RACCOMANDAZIONI sull'utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie nelle strutture sanitarie per la protezione dalle infezioni virali acute.", dove viene indicato: “Con la presente circolare SI RACCOMANDA ai Direttori Sanitari delle succitate strutture, in quanto titolari delle funzioni igienico-sanitarie, di valutare l’opportunità di disporre l'uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei propri contesti, tenendo conto della diffusione dei virus a trasmissione aerea, delle caratteristiche degli ambienti nonché della tipologia di pazienti, lavoratori o visitatori che li frequentano, in funzione del livello di rischio di infezione e/o trasmissione (ad esempio in presenza di sintomatologia respiratoria o in considerazione della stagionalità) e del potenziale di sviluppo di malattia grave in caso di esposizione”.
CONSIDERATO CHE
Il Documento di Valutazione dei Rischi generale (DVR) è un documento previsto dal Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008), nel quale devono essere individuati, analizzati e valutati i possibili rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e definite le misure di prevenzione e protezione atte a eliminare o ridurre tali rischi. Il DVR è obbligatorio per tutte le aziende ed il documento deve essere elaborato da:
- Datore di lavoro (DdL), a cui spetta la presentazione del DVR e che a tale scopo si avvale della consulenza di professionisti (art.17).
- Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), che ricopre due funzioni. Innanzitutto, supporta il datore di lavoro nella valutazione dei rischi e nella redazione del DVR. In secondo luogo, lo aiuta ad attuare le misure di protezione e prevenzione previste per l’attività in seguito alla valutazione dei rischi (art.33).
- Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), che deve essere consultato per la redazione della valutazione (così da scioglierne alcuni nodi di contenuti) e poi ricevere una copia del DVR (art.50).
- Medico competente (MC), qualora per l’attività in questione siano previsti anche protocolli di sorveglianza sanitaria. In questo caso il medico di competenza andrà a curare alcuni elementi specifici all’interno del DVR (art.25).
Seppur la valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata, secondo quanto riportato dall’Art. 29, D.Lgs. 81/08, non può essere una decisione arbitraria della direzione sanitaria su indicazioni ministeriali. Sul DVR è essenziale che vi sia la firma del DdL ma è opportuno che siano presenti anche le firme del RSPP, Del MC e del RLS. Nell’art. 29 del D.lgs 81/08 rimane che il DVR va immediatamente aggiornato “quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità a seguito di specifiche condizioni”. Ed è il medico competente, come indicato all’articolo 2 del D.Lgs. 81/2008, il medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29 comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto.
Qui non si sta discutendo di mascherine si o no ma seriamente di inidoneità dei dispositivi di protezione individuale (DPI) visto che nessuno vuole negare che il popolo italiano sia stato colpito da un virus, il Sars Cov-2, che ha portato alla patologia chiamata Covid-19. Come nessuno può permettersi di negare le persone che hanno subito gravi complicanze che hanno portato anche a numerosi decessi, anche se la sua gestione è unica nel Mondo, Europa compresa. La disamina non è certamente sull’emergenza subita ma sull’operato del Governo per fronteggiarla e questa ordinanza/circolare ne è un esempio lampante. Se possiamo dire che l’emergenza sanitaria sia stata empiricamente rilevabile, la stessa cosa non si può dire a livello giuridico su un’emergenza epidemica che pandemica. Per comprendere meglio le imposizioni Covid19 sui luoghi di lavoro si deve tornare al 14 marzo 2020 quando venne redatto il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, con approfondimenti il 24 aprile 2020 ed il 6 aprile 2021, dove inizialmente “l’obiettivo del presente protocollo condiviso di regolamentazione è fornire indicazioni operative finalizzate a incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19. Succedono anche altri due protocolli sulla stessa linea dove il COVID-19 rappresenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione. Il presente protocollo contiene, quindi, misure che seguono la logica della precauzione e seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria”, dove viene fatto credere che riguardi tutte le attività ma che non trova riscontro nell’articolo 16 nel Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in Legge 24 aprile 2020, n. 27, con modificazione del DL 19 maggio 2020, n. 34 convertito in Legge 17 luglio 2020, n. 77 dove troviamo all’articolo 66: “Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull'intero territorio nazionale, per tutti i lavoratori e i volontari, sanitari e no (NO=dipendenti esterni che riguardano solo le attività a rischio biologico), che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro (N.d.R. tra dipendenti), sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall'articolo 34, comma 3, del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9”, ed anche nel decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 all’articolo 5 comma 8 troviamo: “Fino al 30 aprile 2022 sull'intero territorio nazionale, per i lavoratori, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI) di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le mascherine chirurgiche (DM). Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari”, dove si parla di mascherine CE (che NON possono essere DPI perché sono DISPOSITIVI MEDICI-DM) esclusive per i lavoratori, pubblici o privati che già predisponevano il filtrante facciale (APVR), dipendenti delle aziende a rischio biologico (materiale biologico) come lo sono le:
- Attività in industrie alimentari
- Attività nell'agricoltura
- Attività nelle quali vi è contatto con animali e/o prodotti di origine animale
- Attività nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e post mortem
- Attività nei laboratori clinici, microbiologici, veterinari e diagnostici (nei laboratori di microbiologia sono presenti entrambi i rischi, quello potenziale e quello legato all'uso deliberato di microrganismi)
- Attività negli impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti speciali potenzialmente infetti
- Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.
Niente che non fosse già previsto nel documento ex ISPESL “Criteri procedurali per la scelta e caratterizzazione dei Dispositivi di Proiezione Individuale per il rischio biologico in attuazione degli adempimenti del D.Lgs. 81/2008 e smi”, relativamente all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale per la protezione specifica delle vie respiratorie da agenti biologici, quali i facciali filtranti e i filtri da collocare sulle semimaschere e/o sulle maschere a pieno facciale, viene testualmente riportato: "I DPI per la protezione specifica delle vie respiratorie da agenti biologici, quali facciali filtranti e filtri da collegare sulle semimaschere o sulle maschere a pieno facciale, sono caratterizzati da una certificazione di Tipo emessa dall'Organismo Notificato che attesti la marcatura CE come dispositivo di protezione individuale in III categoria secondo la Direttiva 686/89 CE e attesti la protezione da agenti biologici del gruppo 2 e 3, ai sensi della Direttiva 54/2000 CE". Si ritiene utile precisare che la certificazione CE dei dispositivi di protezione individuale deve essere esclusivamente effettuata in conformità a quanto disposto dalla Direttiva 89/686/CEE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 475/92 e successive modifiche e integrazioni e che per questa certificazione possono essere utilizzate le norme armonizzate pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea e riprese in quella italiana in quanto assicurano presunzione di conformità ai requisiti essenziali richiesti dalla direttiva europea. Occorre quindi evidenziare che l'uso dei dispositivi per la protezione delle vie respiratorie conformi alla norma europea armonizzata EN 149 e certificati CE ai sensi della Direttiva 89/686/CEE, è ritenuto idoneo anche per la protezione da agenti biologici aerodispersi in numerosi documenti sia nazionali (prodotti ad esempio dal Ministero della Salute e dallo stesso ex ISPESL) che internazionali (prodotti ad esempio dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - WHO e dal NIOSH). Pertanto, ne deriva che solo i dispositivi di protezione delle vie respiratorie provvisti di certificazione CE di Tipo secondo la Direttiva 89/686/CEE possono essere liberamente commercializzati e che sarà compito del fabbricante dei dispositivi di protezione individuale dichiararne la conformità ai requisiti dall'Allegato II della direttiva succitata, dopo che sullo stesso è stato emesso da un Organismo Notificato un attestato di esame del Tipo conseguente a specifiche prove di laboratorio, fermo restando che l'utilizzo della norma europea armonizzata EN 149 assicura presunzione di conformità ai requisiti di cui all’Allegato II citato anche per quanto riguarda la protezione da agenti biologici. Stante quanto sopra esposto, si conclude che risultano idonei per la protezione da agenti biologici, in ambienti a rischio biologico ACCERTATO, sia i dispositivi di protezione delle vie respiratorie provvisti di certificazione CE di cui al Capitolo II della Direttiva 89/686/CEE, che attesti la protezione da agenti biologici dei gruppi 2 e 3 così come definiti nella Direttiva 2000/54/CE, sia quelli provvisti di certificazione CE di cui al Capitolo II della Direttiva 89/686/CEE, basata sulla norma europea armonizzata EN 149”. In presenza di contaminazioni elevate o di agenti biologici estremamente pericolosi come quelli di gruppo 4 (per es. virus delle febbri emorragiche), potrebbe essere necessario isolare completamente l'operatore dall'ambiente esterno impiegando autorespiratori che forniscono aria diversa da quella dell'ambiente di lavoro. In virtù del fatto che, in mancanza di una norma specifica, sono riconosciute valide le certificazioni di Tipo CE rilasciate da un Organismo Notificato, attualmente sono disponibili dispositivi per la protezione delle vie aeree dagli agenti biologici di gruppo 2 e 3, come DPI di III categoria che non rispondono alla norma UNI EN 149, ma sono dotati di certificazione di Tipo CE. Per le attività sanitarie (rischio biologico), veterinarie o di laboratorio e, comunque in presenza di pazienti, animali o campioni biologici potenzialmente infetti da microrganismi a trasmissione aerea responsabili di patologie gravi quali meningite, tubercolosi ecc., è raccomandato l'utilizzo di maschere intere con protezione P2, aventi capacità filtrante pari almeno al 95%, perdita di tenuta non superiore al 10% ed efficienza di filtrazione dei microrganismi del 94%. Nell'esecuzione di particolari procedure assistenziali che possono aumentare il rischio di dispersione nell'aria di secrezioni respiratorie (es. broncoscopie, aerosolterapie) è raccomandabile dotarsi di protezioni aventi efficienza filtrante P3.
Per tutte le altre aziende (bar, ristoranti, uffici, fabbriche, scuole, palestre, piscine ecc. ecc.) od altre mansioni anche in ambiente sanitario, il biorischio è già calcolato ma mai vengono applicati DPI specifici dato non vengano trattati né patogeni né liquidi biologici. Gli agenti biologici, definiti secondo il D.Lgs 81/2008, Titolo X come "qualsiasi microrganismo anche geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie, intossicazioni", sono stati classificati secondo un criterio di pericolosità tenendo conto delle condizioni prevalenti nell'area geografica presa in considerazione. Nel Decreto-Legge 7 ottobre 2020, n. 125 convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2020, n. 159 troviamo all’Art. 4 - Attuazione della direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020, concernente l'inserimento del SARS-CoV-2 nell'elenco degli agenti biologici di cui e' noto che possono causare malattie infettive nell'uomo – al comma 1. “All'allegato XLVI del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nella sezione VIRUS, dopo la voce: «Coronaviridae - 2» e' inserita la seguente: «Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2 (SARS-CoV-2)(0a) - 3»; La Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020 che modifica l’allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inserimento del SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell’uomo e che modifica la direttiva (UE) 2019/1833 della Commissione, dove riassumiamo con “La direttiva 2000/54/CE, al di sopra delle Leggi ordinarie nazionali, stabilisce norme per la protezione dei lavoratori contro i rischi che derivano o possono derivare per la loro sicurezza e salute dall’esposizione agli agenti biologici durante il lavoro, ivi comprese norme per la prevenzione di tali rischi. Essa si applica alle attività in cui i lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti biologici a causa della loro attività lavorativa e stabilisce, per qualsiasi attività che possa comportare un rischio di esposizione ad agenti biologici, le misure da adottare al fine di determinare la natura, il grado e la durata dell’esposizione dei lavoratori a tali agenti […] Tenuto conto delle prove scientifiche più recenti e dei dati clinici disponibili nonché dei pareri forniti da esperti che rappresentano tutti gli Stati membri, il SARS-CoV-2 dovrebbe quindi essere classificato come patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3 […] La direttiva (UE) 2019/1833 ha modificato anche gli allegati V e VI della direttiva 2000/54/CE, che stabiliscono le misure e i livelli di contenimento per i laboratori, i servizi veterinari e l’industria (aziende a rischio biologico)”. MAI si trova menzione delle “varianti” di Sars Cov-2 che, ad oggi, non sono regolamentate quindi giuridicamente irrilevanti per i cittadini e lavoratori ma che potrebbero, al massimo, interessare i reparti infettivi e l’ambiente sanitario.
Nel decreto-Legge 23 febbraio 2021, n. 15, all’articolo 1 troviamo: “Art. 1 -Denominazione del territorio nazionale in zone - 1 All'articolo 1 del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, dopo il comma 16- sexies è aggiunto il seguente: «16-septies. Sono denominate: “Zona Bianca-Gialla-Arancione-Rossa” dove la competenza per la comunicazione della valutazione rischio per le aziende a rischio biologico spetta ESCLUSIVAMENTE a queste autorità:
- Ministero della Salute
- Istituto Superiore di Sanità (ISS)
- Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL)
- Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
- Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC)
Mai si menziona il Governo od il Parlamento. Comunicazione che poteva essere fatta anche tramite semplice circolare ministeriale dato riguardanti le aziende sanitarie ed ospedaliere di competenza del Ministero della Salute. Se si menziona l’art. 1 comma 16 del DL 16 maggio 2020, N. 33, come anche il DL 44/2021, entra in gioco non più un’emergenza epidemica ma una valutazione rischi da parte del Ministero della Salute che comporta i DVR Covid e le indicazioni alle aziende sanitarie ed ospedaliere (come veterinarie e RSA) subordinate a tale Ministero. Infatti al comma 16 troviamo: “Per garantire lo svolgimento in condizioni di sicurezza delle attività economiche, produttive e sociali, le regioni monitorano con cadenza giornaliera l'andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono comunicati giornalmente dalle regioni al Ministero della salute, all'Istituto superiore di sanità e al comitato tecnico-scientifico di cui all'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile del 3 febbraio 2020, n. 630, e successive modificazioni. In relazione all'andamento della situazione epidemiologica sul territorio, accertato secondo i criteri stabiliti con decreto del Ministro della salute del ((30 aprile 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 112 del 2 maggio 2020,)) e sue eventuali modificazioni, nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, la Regione, informando contestualmente il Ministro della salute, può introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive, rispetto a quelle disposte ai sensi del medesimo articolo 2”. Il colore bianco/verde, giallo, arancione e rosso indica, tramite segnalazioni delle ASL, le 4 categorie di rischio, dichiarate dal Ministero della Salute, che non colpiscono le attività a rischio generico ma si riferiscono in modo specifico solo alle aziende sanitarie/ospedaliere che NON chiudono ma applicano DPI in base al rischio:
- Scenario 1 (bianco o verde) – Zone nelle quali non siano presenti, nell’intera provincia, conclamati casi - Bassa probabilità di diffusione del contagio
- Scenario 2 (giallo) – Zone nelle quali siano presenti, nella provincia, conclamati casi - Media probabilità di diffusione del contagio
- Scenario 3 (arancione) – Zone a ridosso delle ZONE ROSSE (Comuni che hanno dichiarato lo Stato di Emergenza) ovvero nelle quali siano presenti, nelle limitrofe città, conclamati casi - Elevata probabilità di diffusione del contagio
- Scenario 4 (rossa) – Zone ROSSE (Comuni che hanno dichiarato lo Stato di Emergenza) nelle quali siano presenti, nella medesima città della sede di lavoro, conclamati casi -Molto elevata probabilità di diffusione del contagio
Resta indiscusso che la dichiarazione di “Stato di Emergenza”, pubblicata sull’Albo Pretorio, da parte dei Comuni SIA OBBLIGATORIA proprio per identificare le “Aree Rosse”. La normativa regionale, ovviamente, si articola nell’alveo di quella nazionale, la quale prevede atti necessitati, sempre ricollegandosi al Codice della Protezione Civile aggiornato con D.lgs. 1/2018. Infatti in seguito alla chiamata di pandemia da Covid-19 si è evidenziata l’importanza di capire quali attività lavorative avrebbero dovuto aggiornare il Documento della Valutazione dei Rischi (DVR), ossia il documento obbligatorio ai sensi del D.lgs. 81/08 e che tutti i datori di lavoro devono redigere per la valutazione dei rischi e dei pericoli per realizzare la protezione della salute e della sicurezza. Come è noto, in questo decreto al capitolo X Art.266 si parla di rischio di esposizione ad agenti biologici e in particolare “a tutte le attività lavorative nelle quali vi è un rischio di esposizione ad agenti biologici”. Dunque, tra le causali da cui deriva l’obbligo di rielaborazione del DVR non sono indicate circostanze ambientali estranee ai rischi specifici aziendali come è una epidemia. Di fronte alla comparsa di un rischio biologico generico che minaccia la salute pubblica spetta alle pubbliche autorità – disponendo esse istituzionalmente dei necessari strumenti (competenze scientifiche e poteri) – rilevarlo, darne comunicazione, indicare le misure di prevenzione e farle osservare, appunto tramite i colori bianco/verde, giallo, arancione, rosso. Ad esse, comunicate dal Ministero della salute, il datore di lavoro si dovrà adeguare, dovendo ovviamente rispettare il precetto generale, senza che per questo debba stravolgere il proprio normale progetto prevenzionistico in azienda. Tali misure si affiancheranno provvisoriamente – per la durata della fase di emergenza – a quelle ordinarie, conservando la propria distinta natura e funzione. Infine, anche l’Ispettorato del lavoro ha sottolineato nella nota 89/2020 “come rispetto a tali obblighi, non sia riconducibile all’attività del datore di lavoro ma si concretizzi in una situazione esterna e che sono dinamiche esterne non controllabili dal datore di lavoro. In tali casi il datore di lavoro non sarebbe tenuto ad aggiornare il DVR in quanto trattasi di un rischio non riconducibile all’attività e cicli di lavorazione e, quindi, non rientranti nella concreta possibilità di valutarne con piena consapevolezza tutti gli aspetti gestionali del rischio, in termini di eliminazione alla fonte o riduzione dello stesso, mediante l’attuazione delle più opportune e ragionevoli misure di prevenzione tecniche organizzative e procedurali tecnicamente attuabili. Diverso è il caso degli ambienti di lavoro sanitario o sociosanitario o qualora il rischio biologico sia un rischio di natura professionale, già presente nel contesto espositivo dell’azienda”. Se anche il datore di lavoro avesse aggiornato il DVR sul Covid-19, il D.lgs. 81/08 non indicava niente di più di quello già previsto per la professione in oggetto e dei suoi dipendenti. Nel D.lgs 81/08, in base al Covid-19 ha solamente inserito il Sars Cov-2 nel biorischio 3. Per Gruppo di rischio 3 si intende: elevato rischio individuale, basso rischio collettivo. In questo gruppo sono presenti tutti gli agenti patogeni che causano gravi malattie nella singola persona e hanno una bassa-moderata probabilità di diffondersi nella comunità. Tra questi ricordiamo il virus dell’epatite C, il virus dell’epatite B, il virus dell’immunodeficienza umana, il Mycobacterium tuberculosis ed il SARS CoV-2. Detto questo i DPI sono già predisposti e riguardano SEMPRE le aziende a rischio biologico e non generico. Seppur la motivazione edotta sia quella di “proteggere gli altri pazienti od i fragili”, la Struttura Sanitaria dovrebbe comunque già utilizzare il “Protocollo operativo per la prevenzione e il contenimento delle infezioni ospedaliere” ma anche la “Procedura isolamento pazienti con patologie contagiose”, la quale propone di applicare, a scopo di prevenzione primaria, le misure precauzionali dettate nelle Linee Guida delle principali organismi scientifici internazionali (Center for Disease Control and Prevention - CDC). Anche se ci si riferisse alle politiche di gestione del rischio, volte sia alla prevenzione degli errori evitabili che al contenimento dei loro possibili effetti dannosi, e, quindi, in ultima analisi, alla garanzia della sicurezza dei pazienti, queste costituiscono il sistema di gestione del rischio clinico (Clinical Risk Management) ma che non comporta obbligo di trattamenti od esami di nessun tipo.
Quando viene scritto che “è fatto obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie” o rimandano la decisione alle direzioni sanitarie per imporre i dispositivi di protezione delle vie respiratorie è lapalissiano che si possa parlare esclusivamente di Dispositivi di Protezione delle vie respiratorie, i DPI delle vie respiratorie, definiti anche Apparecchi di Protezione delle Vie Respiratorie (APVR), che sono dispositivi destinati a proteggere da sostanze pericolose allo stato aeriforme (particelle, vapori, gas) mediante il meccanismo della filtrazione non si può parlare di sciarpina o di mascherine di comunità, di stoffa od altri materiali. Infatti oggi non si parla più di mascherine chirurgiche ma di FFp2. La protezione degli APVR è garantita dalla capacità filtrante dei dispositivi in grado di trattenere le particelle aerodisperse, per lo più in funzione delle dimensioni, della forma e della densità, impedendone l'inalazione. I microrganismi sono trasportati in aria adesi a particelle solide o liquide (bioaerosol) in grado di rimanere in sospensione per periodi di tempo variabili a seconda delle dimensioni. Pertanto, nello svolgimento di attività lavorative che potrebbero causare dispersione di bioaerosol, è necessario utilizzare i DPI per le vie respiratorie per prevenire il rischio di esposizione agli agenti biologici patogeni. Alcuni esempi di attività lavorative a rischio sono: le attività sanitarie a contatto con pazienti affetti da malattie infettive a trasmissione aerea, le attività zootecniche, alcune procedure condotte nei laboratori biologici e microbiologici, il lavoro presso impianti di trattamento di rifiuti solidi o liquidi e la manutenzione e bonifica di impianti idrici e di climatizzazione. I DPI più utilizzati per la protezione delle vie aeree sono le semimaschere filtranti monouso che soddisfano i requisiti richiesti dalla norma tecnica UNI EN 149:2001 (Semimaschere filtranti antipolvere - Requisiti, prove, marcatura). Questi sono dispositivi muniti di filtri che proteggono bocca, naso e mento; si suddividono in tre classi in funzione dell'efficienza filtrante: FFP1, FFP2 e FFP3. Ma qui abbiamo un serio problema dato che le mascherine FFP2 sono ad esclusivo utilizzo degli adulti e in particolare dei lavoratori, quindi non utilizzabili dai soggetti minori. Non è raccomandato lavorare più di tre ore con le maschere con filtro senza supporto di ventilazione. Per le attività che richiedono l'uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie devono essere previste delle pause fisse, di almeno mezz'ora. Quindi obbligatoria per le mascherine FFP2 un’attenta valutazione rischio/beneficio e non applicabili come DPI a chiunque. In virtù del fatto che, in mancanza di una norma specifica, sono riconosciute valide le certificazioni di Tipo CE rilasciate da un Organismo Notificato, attualmente sono disponibili dispositivi per la protezione delle vie aeree dagli agenti biologici di gruppo 2 e 3, come DPI di III categoria che non rispondono alla norma UNI EN 149, ma sono dotati di certificazione di Tipo CE. Per le attività sanitarie (rischio biologico), veterinarie o di laboratorio e, comunque in presenza di pazienti, animali o campioni biologici potenzialmente infetti da microrganismi a trasmissione aerea responsabili di patologie gravi quali meningite, tubercolosi ecc., è raccomandato l'utilizzo di maschere intere con protezione P2, aventi capacità filtrante pari almeno al 95%, perdita di tenuta non superiore al 10% ed efficienza di filtrazione dei microrganismi del 94%. Nell'esecuzione di particolari procedure assistenziali che possono aumentare il rischio di dispersione nell'aria di secrezioni respiratorie (es. broncoscopie, aerosolterapie) è raccomandabile dotarsi di protezioni aventi efficienza filtrante P3. Al termine della procedura di valutazione del rischio, nel DVR dovrà essere indicato il DPI da indossare (facciale filtrante, semimaschera, maschera a pieno facciale, autorespiratore). I facciali filtranti monouso non dovrebbero essere riutilizzati e devono essere scartati se danneggiati, sporchi o contaminati da sangue o altri fluidi biologici; quelli riutilizzabili devono essere sanificati prima di essere nuovamente indossati.
Il 15 febbraio 2021 l’INAIL emette un documento: “Scelta, uso e manutenzione di DPI per la protezione delle vie respiratorie: sintesi della norma UNI 11719:2018” dove leggiamo nella prefazione: “Nel 2018 è stata pubblicata la norma italiana UNI 11719 che riguarda la scelta, l’uso e la manutenzione degli apparecchi di protezione delle vie respiratorie. Si tratta di una guida redatta in applicazione della EN 529:2006, secondo cui è possibile produrre documenti nazionali fondati sulle indicazioni in essa contenute. La norma UNI 11719 descrive un approccio sistematico – scelta, addestramento, uso, manutenzione - alla gestione dei DPI; è indirizzata ai datori di lavoro, su cui ricade direttamente la responsabilità della scelta e, poi, della gestione dei DPI. La norma approfondisce, dettaglia e schematizza i processi inerenti la scelta, l’uso e la manutenzione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie (indicati di seguito con l’acronimo APVR) adottando criteri aggiornati e in linea con le evoluzioni tecniche e gestionali più recenti. Il campo di applicazione è esteso a tutti gli APVR, ad esclusione di quelli utilizzati per immersione o per pressioni diverse dalla normale pressione atmosferica”. Di seguito si legge: “Innanzitutto, va precisato che la decisione di utilizzare DPI deve essere seguente all’attuazione di una serie di misure tecniche e organizzative, quindi l’APVR deve essere adeguato per il tipo di rischio residuo presente e in grado di ridurre l’esposizione del lavoratore e di proteggerne la salute; contemporaneamente l’APVR deve essere idoneo per l’uso previsto e in grado di fornire un’adeguata protezione allo specifico lavoratore che lo indossa. Occorrono, cioè, sia una valutazione dei rischi al momento della scelta sia uno specifico controllo sul lavoratore. La scelta di un APVR necessita quindi di una conoscenza approfondita delle condizioni presenti nell’ambiente di lavoro e di un’analisi dei rischi, con particolare riguardo a: identificazione della natura degli inquinanti che possono essere costituiti da materiale particellare (polveri, fibre) o aeriforme (gas o vapori); verifica della sufficienza di ossigeno presente nell’aria; identificazione qualitativa e quantitativa degli inquinanti.
La norma UNI 11719:2018 approfondisce e precisa due concetti: adeguatezza dell’APVR ed idoneità dell’APVR. L’adeguatezza è legata al rischio presente nel luogo di lavoro e un APVR adeguato rappresenta una valida protezione del lavoratore; l’adeguatezza è valutata al momento della scelta dell’APVR ed è legata alla valutazione del rischio. L’idoneità è invece un concetto legato al singolo lavoratore che dovrà indossare l’APVR; è valutata in sede di scelta ma anche in un momento successivo specifico, coinvolgendo proprio il lavoratore che dovrà indossare l’APVR tramite le prove di adattabilità. Inoltre, la scelta del tipo di APVR deve tener conto di altre condizioni e necessità ad esempio di libertà di movimento, campo visivo, comunicazione tra gli operatori, condizioni climatiche estreme, protezione da altri rischi, atmosfere potenzialmente esplosive o che presentano un immediato pericolo per la vita o la salute, insorgenza di un’emergenza, possibilità di esposizione a fiamma e calore, protezione acquisita e tempo di indossamento. Sulla base delle informazioni assunte è possibile stabilire quale apparecchio di protezione può essere necessario, discriminando tra quelli che purificano l’aria ambiente da respirare utilizzando filtri in grado di rimuovere le sostanze contaminanti nell’aria (APVR filtranti) e quelli che forniscono al portatore gas respirabile (per esempio aria compressa) da una sorgente incontaminata (APVR isolanti). L’individuazione dell’APVR adeguato passa attraverso la valutazione della concentrazione dell’inquinante nell’ambiente di lavoro. La scelta è infatti basata sul calcolo del “fattore di protezione necessario” (FPnec), dato dal rapporto tra la concentrazione dell’inquinante nell’ambiente di lavoro e la concentrazione massima ammessa all’interno del facciale, che generalmente è pari al limite di esposizione professionale. Il fattore necessario va quindi confrontato con il “fattore di protezione operativo” (FPO), tabellato per ogni APVR. L’FPO rappresenta il fattore di protezione delle vie respiratorie che, in maniera realistica, si può prevedere di ottenere nel posto di lavoro dalla maggior parte dei lavoratori adeguatamente istruiti e controllati, che utilizzano un APVR correttamente funzionante, adeguatamente manutenuto e indossato secondo le istruzioni del fabbricante. Quindi, prima di indossare una mascherina, il dipendente e il datore di lavoro devono essere sicuri che si adatti al viso del dipendente. Il datore di lavoro lo fa eseguendo un test di adattamento (fit test) sul dipendente mentre indossa la stessa marca, modello e dimensione della mascherina che utilizzerà sul posto di lavoro. In questo modo, sai che gli sta bene e può proteggerlo, purché la usi correttamente. Non tutti possono essere adatti a una mascherina specifica. Se quest’ultima non supera il test di adattamento, è necessario provare una mascherina di un’altra marca, modello, stile o dimensione fino a quando non ne viene trovata una più adatta. Pertanto, il datore di lavoro deve fornire una ragionevole scelta di dimensioni e modelli tra cui scegliere. Dopo aver completato il processo di test di adattamento, si saprà quale marca, modello, stile e dimensioni di mascherine si adattano correttamente al viso di ogni dipendente. Il test di adattamento (fit test) non deve essere confuso con il test di sigillatura (seal test) dell’utente. Un controllo della tenuta della mascherina indossata da parte dell’utente rispetto a infiltrazioni d’aria laterali, dall’alto o dal basso è un test rapido eseguito da chi la indossa ogni volta che la mascherina viene indossata, per determinare se la mascherina è posizionata correttamente sul viso o va riadattata. Se andiamo ad analizzare il protocollo per gli operatori sanitari con identificazione del rischio biologico, esposti a Covid-19, ci possiamo rendere facilmente conto del perché non è possibile utilizzare solo la chirurgica o FFp2, anche visitatori/accompagnatori/utenti. La selezione del tipo di DPI deve tenere conto del rischio di trasmissione di COVID-19 ed i DPI per la gestione di patologie ad alta contagiosità comprendono: Occhi/ Occhiali (DPI II cat.)-Occhiali a maschera (DPI III cat.); Occhi e mucose/Visiera (DPI III cat.); Vie respiratorie/Semimaschera filtrante-Semimaschera e quarti di maschera; Corpo/Indumenti di protezione (DPI III cat); Mani/Guanti monouso (DPI III cat); Arti inferiori/Calzari (DPI I, II, III cat.). Anche la procedura di vestizione e svestizione presenta delle sequenze precise per evitare il rischio di contagio. Nel rimuovere la mascherina FFp2 va assolutamente smaltita nel contenitore RSP-I (RIFIUTI SANITARI PERICOLOSI A RISCHIO INFETTIVO [RSP-I]) che mancano totalmente fuori le strutture socio-sanitarie per i visitatori/accompagnatori.
Un regolamento aziendale (anche sanitario) DEVE essere comunque conforme a Legge e la direzione sanitaria dovrebbe ricordare che tutti dovrebbero avere un generale dovere di conoscenza della normativa vigente, necessariamente strumentale rispetto al dovere primario di osservanza della legge stessa. In più il rispetto di tutte le norme da parte di tutti garantisce già di per sé una certa qualità di vita, quando però qualcuno a qualsiasi livello gerarchico non rispetta qualche principio, non si può sapere quale catena di eventi e reazioni potranno derivare. In poche parole, se le premesse alla base di un fatto sono errate, le conseguenze possono essere inimmaginabili, a danno di molti. La tutela dei nostri diritti, perché vi sono diritti e doveri di tutti, è fondamentale e basilare, soprattutto in situazioni dove rischiamo di incorrere in negligenza, imperizia, imprudenza. L’arbitrio, l’anarchia, l’omertà, il menefreghismo, l’indifferenza e l’ignoranza devono sempre essere combattuti, serenamente, a testa alta da tutti. Va ricordato che le modificazioni della fisiologia respiratoria legate alla FFp2, reputati DPI pesanti e che necessitano di giusta ed approfondita valutazione, possono avere un effetto negativo sull’emogasanalisi di chi lo indossa in modo subclinico e in alcuni casi anche clinicamente manifestato e, quindi, avere un effetto negativo sulla base di tutta la vita aerobica, della respirazione esterna e interna, con un'influenza su un'ampia varietà di sistemi di organi e processi metabolici con conseguenze fisiche, psicologiche e sociali per l'individuo umano. Comunque se anche non ci fosse un danno sulla mia salute tramite certificazione medica, si può sempre manifestare il grave disagio personale dato che gli effetti negativi derivanti dall’uso non conforme degli APVR possono riassumersi in:
- Sensazione di scomodità
- Irritazione della pelle e sudorazione eccessiva
- Senso di claustrofobia oppure mancanza di respiro
Disagio personale che potrebbe creare anche lesioni personali colpose più avanti e, questione altrettanto importante, potrebbe interferire con la concentrazione sulla propria mansione, quindi pericolosa per sè e per gli altri.
Tutto ciò premesso e considerato
INVITO
Il datore di lavoro, nella forma pro tempore del Direttore Sanitario dott. XX, tramite il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) di permettermi la sola visione del DVR aziendale sulla mia mansione lavorativa, visto che la copia originale, firmata da tutte le figure coinvolte, viene conservata in azienda e resa disponibile per eventuali visite d’ispezione di ASL, INPS, INAIL o Vigili del Fuoco. Ad oggi il mio eventuale rifiuto ad indossare l’APVR sul luogo di lavoro, raccomandato dalla circolare ministeriale 0019544-01/07/2024 ma non conforme alla norma UNI 11719:2018 ed in assenza di sorveglianza sanitaria da parte del MC, non deve essere inteso come una violazione punibile con sanzione disciplinare. Questo perché, più che una scelta politica, deve esserci sia una valutazione dei rischi al momento della scelta sia uno specifico controllo sul lavoratore. Con l’occasione porgo i miei più distinti saluti.
Firma
Xxxxx xxxxxx
Alegato:
- Documento identità al posto della firma in digitale
RICHIESTA DVR COVID (MASCHERINA/TAMPONE) PDF
(Questo documento è di proprietà intellettuale di Ghisla Alessandra - consulente con studi di diritto - che ne permette condivisione con citazione della fonte)
DIPENDENTI PUBBLICI
Alla CA Ministero della Salute
Ministro Orazio Schillaci
Email/PEC: seggen@postacert.sanita.it
Ufficio Legislativo Ministero della Salute
Capo e Vice Capo Dott. Vampa Rocco
Email: segr.legislativo@sanita.it
Direzione sanitaria
Direttore xx
PEC: xxxxxxx
DIPENDENTI PRIVATI
Azienda xxxxx
Dott. Xxxx
PEC: xxxx
OGGETTO: RICHIESTA DI VISIONARE IL DVR (Documento Valutazione Rischi)
Il/La sottoscritt xxxx xxxx, nat il 29/01/1900 a xxx (xx), residente a xxxxxxx (xx), in via xxxxx nr.00, CF. xxxxxxxxxx intende esercitare il proprio diritto e formula il presente atto d’invito per significare quanto segue:
In data xx l’azienda ha comunicato l’aggiornamento del DVR, imponendo ai dipendenti l’obbligo di mascherina Ffp2 sul luogo di lavoro (personalizzate il vostro racconto)
PREMESSO CHE
In data 27 dicembre 2023 è stata emessa un’ordinanza del Ministero della Salute (GU n. 302 del 29-12-2023) con titolo: “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’epidemia da COVID-19 concernenti l’utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie” dove vengono prorogate fino al 30 giugno 2024 le disposizioni della precedente ordinanza del ministero della Salute del 28 aprile 2023 (GU n. 100 del 29-04-2023) con titolo: “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'epidemia da COVID-19 concernenti l'utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie” dove, all’art. 1 possiamo leggere: “Art. 1 comma 1. Per le motivazioni in premessa, E’ FATTO OBBLIGO di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie ai lavoratori, agli utenti e ai visitatori delle strutture sanitarie all'interno dei reparti che ospitano pazienti fragili, anziani o immunodepressi, specialmente se ad alta intensità di cura, identificati dalle direzioni sanitarie delle strutture sanitarie stesse. L'obbligo è esteso ai lavoratori, agli utenti e ai visitatori delle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali, comprese le strutture di ospitalità e lungodegenza, le residenze sanitarie assistenziali, gli hospice, le strutture riabilitative, le strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti, e comunque le strutture residenziali di cui all'art. 44 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017[…]Comma 2. Nei reparti delle strutture sanitarie diversi da quelli indicati al comma 1 e nelle sale di attesa, la decisione sull'utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie da parte di operatori sanitari e visitatori resta alla discrezione delle direzioni sanitarie, che possono disporne l'uso anche per tutti coloro che presentino sintomatologia respiratoria.” Mentre sempre all’art. 1 dell’ordinanza ministeriale del 28 aprile 2023 troviamo: “5. La decisione sull'esecuzione di tampone diagnostico per infezione da SARS-CoV-2 per l'accesso ai Pronto soccorso e' rimessa alla discrezione delle direzioni sanitarie e delle autorita' regionali. Si rammenta infatti che non sussiste obbligo a livello normativo dal 31 ottobre 2022, in quanto l'art. 2-bis «Misure concernenti gli accessi nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie» del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, come modificato dall'art. 4, comma 1 lettera b) del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, e' stato abrogato dall'art. 7-ter, comma 2, decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199”.
In data 01 luglio 2024 l’ordinanza in questione ha cessato i suoi effetti ed il Ministero della Salute ha comunicato a tutte le direzioni sanitarie territoriali una circolare ministeriale 0019544-01/07/2024 con OGGETTO: "RACCOMANDAZIONI sull'utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie nelle strutture sanitarie per la protezione dalle infezioni virali acute.", dove viene indicato: “Con la presente circolare SI RACCOMANDA ai Direttori Sanitari delle succitate strutture, in quanto titolari delle funzioni igienico-sanitarie, di valutare l’opportunità di disporre l'uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei propri contesti, tenendo conto della diffusione dei virus a trasmissione aerea, delle caratteristiche degli ambienti nonché della tipologia di pazienti, lavoratori o visitatori che li frequentano, in funzione del livello di rischio di infezione e/o trasmissione (ad esempio in presenza di sintomatologia respiratoria o in considerazione della stagionalità) e del potenziale di sviluppo di malattia grave in caso di esposizione”.
CONSIDERATO CHE
Il Documento di Valutazione dei Rischi generale (DVR) è un documento previsto dal Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008), nel quale devono essere individuati, analizzati e valutati i possibili rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori e definite le misure di prevenzione e protezione atte a eliminare o ridurre tali rischi. Il DVR è obbligatorio per tutte le aziende ed il documento deve essere elaborato da:
- Datore di lavoro (DdL), a cui spetta la presentazione del DVR e che a tale scopo si avvale della consulenza di professionisti (art.17).
- Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), che ricopre due funzioni. Innanzitutto, supporta il datore di lavoro nella valutazione dei rischi e nella redazione del DVR. In secondo luogo, lo aiuta ad attuare le misure di protezione e prevenzione previste per l’attività in seguito alla valutazione dei rischi (art.33).
- Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), che deve essere consultato per la redazione della valutazione (così da scioglierne alcuni nodi di contenuti) e poi ricevere una copia del DVR (art.50).
- Medico competente (MC), qualora per l’attività in questione siano previsti anche protocolli di sorveglianza sanitaria. In questo caso il medico di competenza andrà a curare alcuni elementi specifici all’interno del DVR (art.25).
Seppur la valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata, secondo quanto riportato dall’Art. 29, D.Lgs. 81/08, non può essere una decisione arbitraria della direzione sanitaria su indicazioni ministeriali. Sul DVR è essenziale che vi sia la firma del DdL ma è opportuno che siano presenti anche le firme del RSPP, Del MC e del RLS. Nell’art. 29 del D.lgs 81/08 rimane che il DVR va immediatamente aggiornato “quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità a seguito di specifiche condizioni”. Ed è il medico competente, come indicato all’articolo 2 del D.Lgs. 81/2008, il medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali di cui all’articolo 38, che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29 comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto.
Qui non si sta discutendo di mascherine si o no ma seriamente di inidoneità dei dispositivi di protezione individuale (DPI) visto che nessuno vuole negare che il popolo italiano sia stato colpito da un virus, il Sars Cov-2, che ha portato alla patologia chiamata Covid-19. Come nessuno può permettersi di negare le persone che hanno subito gravi complicanze che hanno portato anche a numerosi decessi, anche se la sua gestione è unica nel Mondo, Europa compresa. La disamina non è certamente sull’emergenza subita ma sull’operato del Governo per fronteggiarla e questa ordinanza/circolare ne è un esempio lampante. Se possiamo dire che l’emergenza sanitaria sia stata empiricamente rilevabile, la stessa cosa non si può dire a livello giuridico su un’emergenza epidemica che pandemica. Per comprendere meglio le imposizioni Covid19 sui luoghi di lavoro si deve tornare al 14 marzo 2020 quando venne redatto il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, con approfondimenti il 24 aprile 2020 ed il 6 aprile 2021, dove inizialmente “l’obiettivo del presente protocollo condiviso di regolamentazione è fornire indicazioni operative finalizzate a incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19. Succedono anche altri due protocolli sulla stessa linea dove il COVID-19 rappresenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione. Il presente protocollo contiene, quindi, misure che seguono la logica della precauzione e seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria”, dove viene fatto credere che riguardi tutte le attività ma che non trova riscontro nell’articolo 16 nel Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in Legge 24 aprile 2020, n. 27, con modificazione del DL 19 maggio 2020, n. 34 convertito in Legge 17 luglio 2020, n. 77 dove troviamo all’articolo 66: “Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull'intero territorio nazionale, per tutti i lavoratori e i volontari, sanitari e no (NO=dipendenti esterni che riguardano solo le attività a rischio biologico), che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro (N.d.R. tra dipendenti), sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall'articolo 34, comma 3, del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9”, ed anche nel decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 all’articolo 5 comma 8 troviamo: “Fino al 30 aprile 2022 sull'intero territorio nazionale, per i lavoratori, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI) di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le mascherine chirurgiche (DM). Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari”, dove si parla di mascherine CE (che NON possono essere DPI perché sono DISPOSITIVI MEDICI-DM) esclusive per i lavoratori, pubblici o privati che già predisponevano il filtrante facciale (APVR), dipendenti delle aziende a rischio biologico (materiale biologico) come lo sono le:
- Attività in industrie alimentari
- Attività nell'agricoltura
- Attività nelle quali vi è contatto con animali e/o prodotti di origine animale
- Attività nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e post mortem
- Attività nei laboratori clinici, microbiologici, veterinari e diagnostici (nei laboratori di microbiologia sono presenti entrambi i rischi, quello potenziale e quello legato all'uso deliberato di microrganismi)
- Attività negli impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti speciali potenzialmente infetti
- Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.
Niente che non fosse già previsto nel documento ex ISPESL “Criteri procedurali per la scelta e caratterizzazione dei Dispositivi di Proiezione Individuale per il rischio biologico in attuazione degli adempimenti del D.Lgs. 81/2008 e smi”, relativamente all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale per la protezione specifica delle vie respiratorie da agenti biologici, quali i facciali filtranti e i filtri da collocare sulle semimaschere e/o sulle maschere a pieno facciale, viene testualmente riportato: "I DPI per la protezione specifica delle vie respiratorie da agenti biologici, quali facciali filtranti e filtri da collegare sulle semimaschere o sulle maschere a pieno facciale, sono caratterizzati da una certificazione di Tipo emessa dall'Organismo Notificato che attesti la marcatura CE come dispositivo di protezione individuale in III categoria secondo la Direttiva 686/89 CE e attesti la protezione da agenti biologici del gruppo 2 e 3, ai sensi della Direttiva 54/2000 CE". Si ritiene utile precisare che la certificazione CE dei dispositivi di protezione individuale deve essere esclusivamente effettuata in conformità a quanto disposto dalla Direttiva 89/686/CEE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo 475/92 e successive modifiche e integrazioni e che per questa certificazione possono essere utilizzate le norme armonizzate pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea e riprese in quella italiana in quanto assicurano presunzione di conformità ai requisiti essenziali richiesti dalla direttiva europea. Occorre quindi evidenziare che l'uso dei dispositivi per la protezione delle vie respiratorie conformi alla norma europea armonizzata EN 149 e certificati CE ai sensi della Direttiva 89/686/CEE, è ritenuto idoneo anche per la protezione da agenti biologici aerodispersi in numerosi documenti sia nazionali (prodotti ad esempio dal Ministero della Salute e dallo stesso ex ISPESL) che internazionali (prodotti ad esempio dall'Organizzazione Mondiale della Sanità - WHO e dal NIOSH). Pertanto, ne deriva che solo i dispositivi di protezione delle vie respiratorie provvisti di certificazione CE di Tipo secondo la Direttiva 89/686/CEE possono essere liberamente commercializzati e che sarà compito del fabbricante dei dispositivi di protezione individuale dichiararne la conformità ai requisiti dall'Allegato II della direttiva succitata, dopo che sullo stesso è stato emesso da un Organismo Notificato un attestato di esame del Tipo conseguente a specifiche prove di laboratorio, fermo restando che l'utilizzo della norma europea armonizzata EN 149 assicura presunzione di conformità ai requisiti di cui all’Allegato II citato anche per quanto riguarda la protezione da agenti biologici. Stante quanto sopra esposto, si conclude che risultano idonei per la protezione da agenti biologici, in ambienti a rischio biologico ACCERTATO, sia i dispositivi di protezione delle vie respiratorie provvisti di certificazione CE di cui al Capitolo II della Direttiva 89/686/CEE, che attesti la protezione da agenti biologici dei gruppi 2 e 3 così come definiti nella Direttiva 2000/54/CE, sia quelli provvisti di certificazione CE di cui al Capitolo II della Direttiva 89/686/CEE, basata sulla norma europea armonizzata EN 149”. In presenza di contaminazioni elevate o di agenti biologici estremamente pericolosi come quelli di gruppo 4 (per es. virus delle febbri emorragiche), potrebbe essere necessario isolare completamente l'operatore dall'ambiente esterno impiegando autorespiratori che forniscono aria diversa da quella dell'ambiente di lavoro. In virtù del fatto che, in mancanza di una norma specifica, sono riconosciute valide le certificazioni di Tipo CE rilasciate da un Organismo Notificato, attualmente sono disponibili dispositivi per la protezione delle vie aeree dagli agenti biologici di gruppo 2 e 3, come DPI di III categoria che non rispondono alla norma UNI EN 149, ma sono dotati di certificazione di Tipo CE. Per le attività sanitarie (rischio biologico), veterinarie o di laboratorio e, comunque in presenza di pazienti, animali o campioni biologici potenzialmente infetti da microrganismi a trasmissione aerea responsabili di patologie gravi quali meningite, tubercolosi ecc., è raccomandato l'utilizzo di maschere intere con protezione P2, aventi capacità filtrante pari almeno al 95%, perdita di tenuta non superiore al 10% ed efficienza di filtrazione dei microrganismi del 94%. Nell'esecuzione di particolari procedure assistenziali che possono aumentare il rischio di dispersione nell'aria di secrezioni respiratorie (es. broncoscopie, aerosolterapie) è raccomandabile dotarsi di protezioni aventi efficienza filtrante P3.
Per tutte le altre aziende (bar, ristoranti, uffici, fabbriche, scuole, palestre, piscine ecc. ecc.) od altre mansioni anche in ambiente sanitario, il biorischio è già calcolato ma mai vengono applicati DPI specifici dato non vengano trattati né patogeni né liquidi biologici. Gli agenti biologici, definiti secondo il D.Lgs 81/2008, Titolo X come "qualsiasi microrganismo anche geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie, intossicazioni", sono stati classificati secondo un criterio di pericolosità tenendo conto delle condizioni prevalenti nell'area geografica presa in considerazione. Nel Decreto-Legge 7 ottobre 2020, n. 125 convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2020, n. 159 troviamo all’Art. 4 - Attuazione della direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020, concernente l'inserimento del SARS-CoV-2 nell'elenco degli agenti biologici di cui e' noto che possono causare malattie infettive nell'uomo – al comma 1. “All'allegato XLVI del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nella sezione VIRUS, dopo la voce: «Coronaviridae - 2» e' inserita la seguente: «Sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2 (SARS-CoV-2)(0a) - 3»; La Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020 che modifica l’allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inserimento del SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell’uomo e che modifica la direttiva (UE) 2019/1833 della Commissione, dove riassumiamo con “La direttiva 2000/54/CE, al di sopra delle Leggi ordinarie nazionali, stabilisce norme per la protezione dei lavoratori contro i rischi che derivano o possono derivare per la loro sicurezza e salute dall’esposizione agli agenti biologici durante il lavoro, ivi comprese norme per la prevenzione di tali rischi. Essa si applica alle attività in cui i lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti biologici a causa della loro attività lavorativa e stabilisce, per qualsiasi attività che possa comportare un rischio di esposizione ad agenti biologici, le misure da adottare al fine di determinare la natura, il grado e la durata dell’esposizione dei lavoratori a tali agenti […] Tenuto conto delle prove scientifiche più recenti e dei dati clinici disponibili nonché dei pareri forniti da esperti che rappresentano tutti gli Stati membri, il SARS-CoV-2 dovrebbe quindi essere classificato come patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3 […] La direttiva (UE) 2019/1833 ha modificato anche gli allegati V e VI della direttiva 2000/54/CE, che stabiliscono le misure e i livelli di contenimento per i laboratori, i servizi veterinari e l’industria (aziende a rischio biologico)”. MAI si trova menzione delle “varianti” di Sars Cov-2 che, ad oggi, non sono regolamentate quindi giuridicamente irrilevanti per i cittadini e lavoratori ma che potrebbero, al massimo, interessare i reparti infettivi e l’ambiente sanitario.
Nel decreto-Legge 23 febbraio 2021, n. 15, all’articolo 1 troviamo: “Art. 1 -Denominazione del territorio nazionale in zone - 1 All'articolo 1 del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, dopo il comma 16- sexies è aggiunto il seguente: «16-septies. Sono denominate: “Zona Bianca-Gialla-Arancione-Rossa” dove la competenza per la comunicazione della valutazione rischio per le aziende a rischio biologico spetta ESCLUSIVAMENTE a queste autorità:
- Ministero della Salute
- Istituto Superiore di Sanità (ISS)
- Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL)
- Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
- Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC)
Mai si menziona il Governo od il Parlamento. Comunicazione che poteva essere fatta anche tramite semplice circolare ministeriale dato riguardanti le aziende sanitarie ed ospedaliere di competenza del Ministero della Salute. Se si menziona l’art. 1 comma 16 del DL 16 maggio 2020, N. 33, come anche il DL 44/2021, entra in gioco non più un’emergenza epidemica ma una valutazione rischi da parte del Ministero della Salute che comporta i DVR Covid e le indicazioni alle aziende sanitarie ed ospedaliere (come veterinarie e RSA) subordinate a tale Ministero. Infatti al comma 16 troviamo: “Per garantire lo svolgimento in condizioni di sicurezza delle attività economiche, produttive e sociali, le regioni monitorano con cadenza giornaliera l'andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono comunicati giornalmente dalle regioni al Ministero della salute, all'Istituto superiore di sanità e al comitato tecnico-scientifico di cui all'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile del 3 febbraio 2020, n. 630, e successive modificazioni. In relazione all'andamento della situazione epidemiologica sul territorio, accertato secondo i criteri stabiliti con decreto del Ministro della salute del ((30 aprile 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 112 del 2 maggio 2020,)) e sue eventuali modificazioni, nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, la Regione, informando contestualmente il Ministro della salute, può introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive, rispetto a quelle disposte ai sensi del medesimo articolo 2”. Il colore bianco/verde, giallo, arancione e rosso indica, tramite segnalazioni delle ASL, le 4 categorie di rischio, dichiarate dal Ministero della Salute, che non colpiscono le attività a rischio generico ma si riferiscono in modo specifico solo alle aziende sanitarie/ospedaliere che NON chiudono ma applicano DPI in base al rischio:
- Scenario 1 (bianco o verde) – Zone nelle quali non siano presenti, nell’intera provincia, conclamati casi - Bassa probabilità di diffusione del contagio
- Scenario 2 (giallo) – Zone nelle quali siano presenti, nella provincia, conclamati casi - Media probabilità di diffusione del contagio
- Scenario 3 (arancione) – Zone a ridosso delle ZONE ROSSE (Comuni che hanno dichiarato lo Stato di Emergenza) ovvero nelle quali siano presenti, nelle limitrofe città, conclamati casi - Elevata probabilità di diffusione del contagio
- Scenario 4 (rossa) – Zone ROSSE (Comuni che hanno dichiarato lo Stato di Emergenza) nelle quali siano presenti, nella medesima città della sede di lavoro, conclamati casi -Molto elevata probabilità di diffusione del contagio
Resta indiscusso che la dichiarazione di “Stato di Emergenza”, pubblicata sull’Albo Pretorio, da parte dei Comuni SIA OBBLIGATORIA proprio per identificare le “Aree Rosse”. La normativa regionale, ovviamente, si articola nell’alveo di quella nazionale, la quale prevede atti necessitati, sempre ricollegandosi al Codice della Protezione Civile aggiornato con D.lgs. 1/2018. Infatti in seguito alla chiamata di pandemia da Covid-19 si è evidenziata l’importanza di capire quali attività lavorative avrebbero dovuto aggiornare il Documento della Valutazione dei Rischi (DVR), ossia il documento obbligatorio ai sensi del D.lgs. 81/08 e che tutti i datori di lavoro devono redigere per la valutazione dei rischi e dei pericoli per realizzare la protezione della salute e della sicurezza. Come è noto, in questo decreto al capitolo X Art.266 si parla di rischio di esposizione ad agenti biologici e in particolare “a tutte le attività lavorative nelle quali vi è un rischio di esposizione ad agenti biologici”. Dunque, tra le causali da cui deriva l’obbligo di rielaborazione del DVR non sono indicate circostanze ambientali estranee ai rischi specifici aziendali come è una epidemia. Di fronte alla comparsa di un rischio biologico generico che minaccia la salute pubblica spetta alle pubbliche autorità – disponendo esse istituzionalmente dei necessari strumenti (competenze scientifiche e poteri) – rilevarlo, darne comunicazione, indicare le misure di prevenzione e farle osservare, appunto tramite i colori bianco/verde, giallo, arancione, rosso. Ad esse, comunicate dal Ministero della salute, il datore di lavoro si dovrà adeguare, dovendo ovviamente rispettare il precetto generale, senza che per questo debba stravolgere il proprio normale progetto prevenzionistico in azienda. Tali misure si affiancheranno provvisoriamente – per la durata della fase di emergenza – a quelle ordinarie, conservando la propria distinta natura e funzione. Infine, anche l’Ispettorato del lavoro ha sottolineato nella nota 89/2020 “come rispetto a tali obblighi, non sia riconducibile all’attività del datore di lavoro ma si concretizzi in una situazione esterna e che sono dinamiche esterne non controllabili dal datore di lavoro. In tali casi il datore di lavoro non sarebbe tenuto ad aggiornare il DVR in quanto trattasi di un rischio non riconducibile all’attività e cicli di lavorazione e, quindi, non rientranti nella concreta possibilità di valutarne con piena consapevolezza tutti gli aspetti gestionali del rischio, in termini di eliminazione alla fonte o riduzione dello stesso, mediante l’attuazione delle più opportune e ragionevoli misure di prevenzione tecniche organizzative e procedurali tecnicamente attuabili. Diverso è il caso degli ambienti di lavoro sanitario o sociosanitario o qualora il rischio biologico sia un rischio di natura professionale, già presente nel contesto espositivo dell’azienda”. Se anche il datore di lavoro avesse aggiornato il DVR sul Covid-19, il D.lgs. 81/08 non indicava niente di più di quello già previsto per la professione in oggetto e dei suoi dipendenti. Nel D.lgs 81/08, in base al Covid-19 ha solamente inserito il Sars Cov-2 nel biorischio 3. Per Gruppo di rischio 3 si intende: elevato rischio individuale, basso rischio collettivo. In questo gruppo sono presenti tutti gli agenti patogeni che causano gravi malattie nella singola persona e hanno una bassa-moderata probabilità di diffondersi nella comunità. Tra questi ricordiamo il virus dell’epatite C, il virus dell’epatite B, il virus dell’immunodeficienza umana, il Mycobacterium tuberculosis ed il SARS CoV-2. Detto questo i DPI sono già predisposti e riguardano SEMPRE le aziende a rischio biologico e non generico. Seppur la motivazione edotta sia quella di “proteggere gli altri pazienti od i fragili”, la Struttura Sanitaria dovrebbe comunque già utilizzare il “Protocollo operativo per la prevenzione e il contenimento delle infezioni ospedaliere” ma anche la “Procedura isolamento pazienti con patologie contagiose”, la quale propone di applicare, a scopo di prevenzione primaria, le misure precauzionali dettate nelle Linee Guida delle principali organismi scientifici internazionali (Center for Disease Control and Prevention - CDC). Anche se ci si riferisse alle politiche di gestione del rischio, volte sia alla prevenzione degli errori evitabili che al contenimento dei loro possibili effetti dannosi, e, quindi, in ultima analisi, alla garanzia della sicurezza dei pazienti, queste costituiscono il sistema di gestione del rischio clinico (Clinical Risk Management) ma che non comporta obbligo di trattamenti od esami di nessun tipo.
Quando viene scritto che “è fatto obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie” o rimandano la decisione alle direzioni sanitarie per imporre i dispositivi di protezione delle vie respiratorie è lapalissiano che si possa parlare esclusivamente di Dispositivi di Protezione delle vie respiratorie, i DPI delle vie respiratorie, definiti anche Apparecchi di Protezione delle Vie Respiratorie (APVR), che sono dispositivi destinati a proteggere da sostanze pericolose allo stato aeriforme (particelle, vapori, gas) mediante il meccanismo della filtrazione non si può parlare di sciarpina o di mascherine di comunità, di stoffa od altri materiali. Infatti oggi non si parla più di mascherine chirurgiche ma di FFp2. La protezione degli APVR è garantita dalla capacità filtrante dei dispositivi in grado di trattenere le particelle aerodisperse, per lo più in funzione delle dimensioni, della forma e della densità, impedendone l'inalazione. I microrganismi sono trasportati in aria adesi a particelle solide o liquide (bioaerosol) in grado di rimanere in sospensione per periodi di tempo variabili a seconda delle dimensioni. Pertanto, nello svolgimento di attività lavorative che potrebbero causare dispersione di bioaerosol, è necessario utilizzare i DPI per le vie respiratorie per prevenire il rischio di esposizione agli agenti biologici patogeni. Alcuni esempi di attività lavorative a rischio sono: le attività sanitarie a contatto con pazienti affetti da malattie infettive a trasmissione aerea, le attività zootecniche, alcune procedure condotte nei laboratori biologici e microbiologici, il lavoro presso impianti di trattamento di rifiuti solidi o liquidi e la manutenzione e bonifica di impianti idrici e di climatizzazione. I DPI più utilizzati per la protezione delle vie aeree sono le semimaschere filtranti monouso che soddisfano i requisiti richiesti dalla norma tecnica UNI EN 149:2001 (Semimaschere filtranti antipolvere - Requisiti, prove, marcatura). Questi sono dispositivi muniti di filtri che proteggono bocca, naso e mento; si suddividono in tre classi in funzione dell'efficienza filtrante: FFP1, FFP2 e FFP3. Ma qui abbiamo un serio problema dato che le mascherine FFP2 sono ad esclusivo utilizzo degli adulti e in particolare dei lavoratori, quindi non utilizzabili dai soggetti minori. Non è raccomandato lavorare più di tre ore con le maschere con filtro senza supporto di ventilazione. Per le attività che richiedono l'uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie devono essere previste delle pause fisse, di almeno mezz'ora. Quindi obbligatoria per le mascherine FFP2 un’attenta valutazione rischio/beneficio e non applicabili come DPI a chiunque. In virtù del fatto che, in mancanza di una norma specifica, sono riconosciute valide le certificazioni di Tipo CE rilasciate da un Organismo Notificato, attualmente sono disponibili dispositivi per la protezione delle vie aeree dagli agenti biologici di gruppo 2 e 3, come DPI di III categoria che non rispondono alla norma UNI EN 149, ma sono dotati di certificazione di Tipo CE. Per le attività sanitarie (rischio biologico), veterinarie o di laboratorio e, comunque in presenza di pazienti, animali o campioni biologici potenzialmente infetti da microrganismi a trasmissione aerea responsabili di patologie gravi quali meningite, tubercolosi ecc., è raccomandato l'utilizzo di maschere intere con protezione P2, aventi capacità filtrante pari almeno al 95%, perdita di tenuta non superiore al 10% ed efficienza di filtrazione dei microrganismi del 94%. Nell'esecuzione di particolari procedure assistenziali che possono aumentare il rischio di dispersione nell'aria di secrezioni respiratorie (es. broncoscopie, aerosolterapie) è raccomandabile dotarsi di protezioni aventi efficienza filtrante P3. Al termine della procedura di valutazione del rischio, nel DVR dovrà essere indicato il DPI da indossare (facciale filtrante, semimaschera, maschera a pieno facciale, autorespiratore). I facciali filtranti monouso non dovrebbero essere riutilizzati e devono essere scartati se danneggiati, sporchi o contaminati da sangue o altri fluidi biologici; quelli riutilizzabili devono essere sanificati prima di essere nuovamente indossati.
Il 15 febbraio 2021 l’INAIL emette un documento: “Scelta, uso e manutenzione di DPI per la protezione delle vie respiratorie: sintesi della norma UNI 11719:2018” dove leggiamo nella prefazione: “Nel 2018 è stata pubblicata la norma italiana UNI 11719 che riguarda la scelta, l’uso e la manutenzione degli apparecchi di protezione delle vie respiratorie. Si tratta di una guida redatta in applicazione della EN 529:2006, secondo cui è possibile produrre documenti nazionali fondati sulle indicazioni in essa contenute. La norma UNI 11719 descrive un approccio sistematico – scelta, addestramento, uso, manutenzione - alla gestione dei DPI; è indirizzata ai datori di lavoro, su cui ricade direttamente la responsabilità della scelta e, poi, della gestione dei DPI. La norma approfondisce, dettaglia e schematizza i processi inerenti la scelta, l’uso e la manutenzione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie (indicati di seguito con l’acronimo APVR) adottando criteri aggiornati e in linea con le evoluzioni tecniche e gestionali più recenti. Il campo di applicazione è esteso a tutti gli APVR, ad esclusione di quelli utilizzati per immersione o per pressioni diverse dalla normale pressione atmosferica”. Di seguito si legge: “Innanzitutto, va precisato che la decisione di utilizzare DPI deve essere seguente all’attuazione di una serie di misure tecniche e organizzative, quindi l’APVR deve essere adeguato per il tipo di rischio residuo presente e in grado di ridurre l’esposizione del lavoratore e di proteggerne la salute; contemporaneamente l’APVR deve essere idoneo per l’uso previsto e in grado di fornire un’adeguata protezione allo specifico lavoratore che lo indossa. Occorrono, cioè, sia una valutazione dei rischi al momento della scelta sia uno specifico controllo sul lavoratore. La scelta di un APVR necessita quindi di una conoscenza approfondita delle condizioni presenti nell’ambiente di lavoro e di un’analisi dei rischi, con particolare riguardo a: identificazione della natura degli inquinanti che possono essere costituiti da materiale particellare (polveri, fibre) o aeriforme (gas o vapori); verifica della sufficienza di ossigeno presente nell’aria; identificazione qualitativa e quantitativa degli inquinanti.
La norma UNI 11719:2018 approfondisce e precisa due concetti: adeguatezza dell’APVR ed idoneità dell’APVR. L’adeguatezza è legata al rischio presente nel luogo di lavoro e un APVR adeguato rappresenta una valida protezione del lavoratore; l’adeguatezza è valutata al momento della scelta dell’APVR ed è legata alla valutazione del rischio. L’idoneità è invece un concetto legato al singolo lavoratore che dovrà indossare l’APVR; è valutata in sede di scelta ma anche in un momento successivo specifico, coinvolgendo proprio il lavoratore che dovrà indossare l’APVR tramite le prove di adattabilità. Inoltre, la scelta del tipo di APVR deve tener conto di altre condizioni e necessità ad esempio di libertà di movimento, campo visivo, comunicazione tra gli operatori, condizioni climatiche estreme, protezione da altri rischi, atmosfere potenzialmente esplosive o che presentano un immediato pericolo per la vita o la salute, insorgenza di un’emergenza, possibilità di esposizione a fiamma e calore, protezione acquisita e tempo di indossamento. Sulla base delle informazioni assunte è possibile stabilire quale apparecchio di protezione può essere necessario, discriminando tra quelli che purificano l’aria ambiente da respirare utilizzando filtri in grado di rimuovere le sostanze contaminanti nell’aria (APVR filtranti) e quelli che forniscono al portatore gas respirabile (per esempio aria compressa) da una sorgente incontaminata (APVR isolanti). L’individuazione dell’APVR adeguato passa attraverso la valutazione della concentrazione dell’inquinante nell’ambiente di lavoro. La scelta è infatti basata sul calcolo del “fattore di protezione necessario” (FPnec), dato dal rapporto tra la concentrazione dell’inquinante nell’ambiente di lavoro e la concentrazione massima ammessa all’interno del facciale, che generalmente è pari al limite di esposizione professionale. Il fattore necessario va quindi confrontato con il “fattore di protezione operativo” (FPO), tabellato per ogni APVR. L’FPO rappresenta il fattore di protezione delle vie respiratorie che, in maniera realistica, si può prevedere di ottenere nel posto di lavoro dalla maggior parte dei lavoratori adeguatamente istruiti e controllati, che utilizzano un APVR correttamente funzionante, adeguatamente manutenuto e indossato secondo le istruzioni del fabbricante. Quindi, prima di indossare una mascherina, il dipendente e il datore di lavoro devono essere sicuri che si adatti al viso del dipendente. Il datore di lavoro lo fa eseguendo un test di adattamento (fit test) sul dipendente mentre indossa la stessa marca, modello e dimensione della mascherina che utilizzerà sul posto di lavoro. In questo modo, sai che gli sta bene e può proteggerlo, purché la usi correttamente. Non tutti possono essere adatti a una mascherina specifica. Se quest’ultima non supera il test di adattamento, è necessario provare una mascherina di un’altra marca, modello, stile o dimensione fino a quando non ne viene trovata una più adatta. Pertanto, il datore di lavoro deve fornire una ragionevole scelta di dimensioni e modelli tra cui scegliere. Dopo aver completato il processo di test di adattamento, si saprà quale marca, modello, stile e dimensioni di mascherine si adattano correttamente al viso di ogni dipendente. Il test di adattamento (fit test) non deve essere confuso con il test di sigillatura (seal test) dell’utente. Un controllo della tenuta della mascherina indossata da parte dell’utente rispetto a infiltrazioni d’aria laterali, dall’alto o dal basso è un test rapido eseguito da chi la indossa ogni volta che la mascherina viene indossata, per determinare se la mascherina è posizionata correttamente sul viso o va riadattata. Se andiamo ad analizzare il protocollo per gli operatori sanitari con identificazione del rischio biologico, esposti a Covid-19, ci possiamo rendere facilmente conto del perché non è possibile utilizzare solo la chirurgica o FFp2, anche visitatori/accompagnatori/utenti. La selezione del tipo di DPI deve tenere conto del rischio di trasmissione di COVID-19 ed i DPI per la gestione di patologie ad alta contagiosità comprendono: Occhi/ Occhiali (DPI II cat.)-Occhiali a maschera (DPI III cat.); Occhi e mucose/Visiera (DPI III cat.); Vie respiratorie/Semimaschera filtrante-Semimaschera e quarti di maschera; Corpo/Indumenti di protezione (DPI III cat); Mani/Guanti monouso (DPI III cat); Arti inferiori/Calzari (DPI I, II, III cat.). Anche la procedura di vestizione e svestizione presenta delle sequenze precise per evitare il rischio di contagio. Nel rimuovere la mascherina FFp2 va assolutamente smaltita nel contenitore RSP-I (RIFIUTI SANITARI PERICOLOSI A RISCHIO INFETTIVO [RSP-I]) che mancano totalmente fuori le strutture socio-sanitarie per i visitatori/accompagnatori.
Un regolamento aziendale (anche sanitario) DEVE essere comunque conforme a Legge e la direzione sanitaria dovrebbe ricordare che tutti dovrebbero avere un generale dovere di conoscenza della normativa vigente, necessariamente strumentale rispetto al dovere primario di osservanza della legge stessa. In più il rispetto di tutte le norme da parte di tutti garantisce già di per sé una certa qualità di vita, quando però qualcuno a qualsiasi livello gerarchico non rispetta qualche principio, non si può sapere quale catena di eventi e reazioni potranno derivare. In poche parole, se le premesse alla base di un fatto sono errate, le conseguenze possono essere inimmaginabili, a danno di molti. La tutela dei nostri diritti, perché vi sono diritti e doveri di tutti, è fondamentale e basilare, soprattutto in situazioni dove rischiamo di incorrere in negligenza, imperizia, imprudenza. L’arbitrio, l’anarchia, l’omertà, il menefreghismo, l’indifferenza e l’ignoranza devono sempre essere combattuti, serenamente, a testa alta da tutti. Va ricordato che le modificazioni della fisiologia respiratoria legate alla FFp2, reputati DPI pesanti e che necessitano di giusta ed approfondita valutazione, possono avere un effetto negativo sull’emogasanalisi di chi lo indossa in modo subclinico e in alcuni casi anche clinicamente manifestato e, quindi, avere un effetto negativo sulla base di tutta la vita aerobica, della respirazione esterna e interna, con un'influenza su un'ampia varietà di sistemi di organi e processi metabolici con conseguenze fisiche, psicologiche e sociali per l'individuo umano. Comunque se anche non ci fosse un danno sulla mia salute tramite certificazione medica, si può sempre manifestare il grave disagio personale dato che gli effetti negativi derivanti dall’uso non conforme degli APVR possono riassumersi in:
- Sensazione di scomodità
- Irritazione della pelle e sudorazione eccessiva
- Senso di claustrofobia oppure mancanza di respiro
Disagio personale che potrebbe creare anche lesioni personali colpose più avanti e, questione altrettanto importante, potrebbe interferire con la concentrazione sulla propria mansione, quindi pericolosa per sè e per gli altri.
Tutto ciò premesso e considerato
INVITO
Il datore di lavoro, nella forma pro tempore del Direttore Sanitario dott. XX, tramite il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) di permettermi la sola visione del DVR aziendale sulla mia mansione lavorativa, visto che la copia originale, firmata da tutte le figure coinvolte, viene conservata in azienda e resa disponibile per eventuali visite d’ispezione di ASL, INPS, INAIL o Vigili del Fuoco. Ad oggi il mio eventuale rifiuto ad indossare l’APVR sul luogo di lavoro, raccomandato dalla circolare ministeriale 0019544-01/07/2024 ma non conforme alla norma UNI 11719:2018 ed in assenza di sorveglianza sanitaria da parte del MC, non deve essere inteso come una violazione punibile con sanzione disciplinare. Questo perché, più che una scelta politica, deve esserci sia una valutazione dei rischi al momento della scelta sia uno specifico controllo sul lavoratore. Con l’occasione porgo i miei più distinti saluti.
Firma
Xxxxx xxxxxx
Alegato:
- Documento identità al posto della firma in digitale
RICHIESTA DVR COVID (MASCHERINA/TAMPONE) PDF
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